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Il Cardinale
Ratzinger e la Revisione Del Sistema Penale Canonico in Tre Lettere Inedite
Del 1988
Un ruolo determinante
By Juan Ignacio Arrieta
L'Osservatore Romano
December 2, 2010
http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/2010/278q05a1.html
[See also the official English translation.]
Questo articolo del vescovo segretario del Pontificio Consiglio per i
Testi Legislativi sarà pubblicato nel prossimo numero de "La
Civiltà Cattolica" in una forma più ampia.
Nelle prossime settimane
il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi invierà ai propri
membri e consultori una bozza con alcune proposte per la riforma del libro
vi del Codex iuris canonici, base del sistema penale della Chiesa. Una
commissione di esperti penalisti ha lavorato per quasi due anni, rivedendo
il testo promulgato nel 1983 per mantenere l'impianto generale e la numerazione
dei canoni, ma anche per modificare decisamente alcune scelte dell'epoca
rivelatesi meno riuscite.
L'iniziativa nasce dal mandato conferito da Benedetto XVI ai nuovi superiori
del dicastero il 28 settembre 2007. Da quell'incontro è risultato
evidente come l'indicazione rispondesse a un convincimento profondo del
Papa, maturato in anni di esperienza diretta, e a una preoccupazione per
l'integrità e la coerente applicazione della disciplina nella Chiesa;
convincimento e preoccupazione che hanno guidato i passi del cardinale
Joseph Ratzinger sin dall'inizio del suo lavoro come prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede, malgrado le oggettive difficoltà provenienti,
tra l'altro, dal particolare momento legislativo vissuto all'indomani
della promulgazione del Codex. Per valutarlo meglio occorre ricordare
alcune particolarità del quadro legislativo allora appena ridisegnato.
Il sistema penale
del Codex iuris canonici
Il sistema penale del Codex del 1983 possiede un impianto sostanzialmente
nuovo rispetto a quello del 1917, e s'inquadra nel contesto ecclesiologico
disegnato dal concilio Vaticano ii. Per quanto riguarda la disciplina
penale, vuole ispirarsi anche ai criteri di sussidiarietà e di
"decentramento", concetto usato per indicare la particolare attenzione
riservata al diritto particolare e, soprattutto, all'iniziativa dei singoli
vescovi nel governo pastorale, essendo essi, come insegna il concilio
(cfr. Lumen gentium, n. 27), vicari di Cristo nelle rispettive diocesi.
Nella maggioranza dei casi, infatti, il Codex affida alla valutazione
degli Ordinari locali e dei superiori religiosi il discernimento sull'opportunità
o meno di imporre sanzioni penali, e sul modo di farlo.
Ma un altro fattore ha segnato, ancora più profondamente, il nuovo
diritto penale canonico: le formalità giuridiche e i modelli di
garanzia stabiliti per applicare le pene canoniche. Infatti, in coerenza
con l'enunciato dei diritti fondamentali di tutti i battezzati per la
prima volta espresso dal Codex, si sono adottati sistemi di protezione
e di tutela di questi diritti, desunti in parte dalla tradizione canonica,
in parte da altre esperienze giuridiche, talvolta in modo non del tutto
rispondente alla realtà della Chiesa in tutto il mondo. Le garanzie
sono imprescindibili, particolarmente nel sistema penale; occorre tuttavia
che esse siano bilanciate e consentano l'effettiva tutela dell'interesse
collettivo. L'esperienza successiva ha dimostrato come alcune delle tecniche
adoperate dal Codex a garanzia dei diritti non fossero imprescindibili,
e che avrebbero potuto essere sostituite da altre garanzie più
consone con la realtà ecclesiale. Anzi, queste tecniche rappresentavano
in vari casi, un oggettivo ostacolo, talvolta insuperabile per la scarsità
di mezzi, all'effettiva applicazione del sistema penale.
Si potrebbe dire, per quanto paradossale possa ora risultare questa constatazione,
che il libro vi sulle sanzioni penali sia, nel Codex, quello che ha potuto
beneficiare di meno da quelle continue altalene normative che hanno caratterizzato
il periodo post-conciliare. Altri settori della disciplina canonica, infatti,
hanno avuto l'opportunità di confrontarsi con la realtà
concreta della Chiesa attraverso norme ad experimentum, che hanno consentito
poi di valutare l'esito dei risultati, positivo o negativo che fosse,
al momento di redigere le norme definitive. Il sistema penale, viceversa,
pur essendo del tutto nuovo, o quasi, rispetto al precedente, non ha avuto
opportunità di riscontro sperimentale, esordendo da zero nel 1983.
Il numero dei delitti tipizzati era stato drasticamente ridotto ai soli
comportamenti di speciale gravità, e l'imposizione delle sanzioni
rimessa ai criteri di valutazione di ciascun Ordinario, inevitabilmente
diversi.
C'è da aggiungere che su questo settore della disciplina canonica
si sentiva particolarmente - e si sente tuttora - l'influsso di un diffuso
anti-giuridicismo, che si traduceva, tra l'altro, nella difficoltà
di riuscire a comporre le esigenze della carità pastorale con quelle
della giustizia e del buon governo. Perfino la redazione di alcuni canoni
del Codex, infatti, contiene richiami alla tolleranza che potrebbero essere
indebitamente letti come volontà di dissuadere l'Ordinario dall'impiego
delle sanzioni penali laddove ciò fosse necessario per esigenze
di giustizia.
Una richiesta del cardinale Ratzinger
(19 febbraio 1988)
In questo quadro legislativo rappresentò un evidente elemento di
contrasto una lettera scritta il 19 febbraio 1988 dal prefetto della Sacra
Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Ratzinger, al presidente
della Pontificia Commissione per l'Interpretazione autentica del Codice
di Diritto Canonico, cardinale José Rosalío Castillo Lara.
Si tratta di un documento importante e unico, ove si denunciano le negative
conseguenze che stavano producendo nella Chiesa alcune opzioni del sistema
penale stabilito appena cinque anni prima. Lo scritto è riemerso
nel quadro dei lavori realizzati in questo periodo per la revisione del
libro VI.
La motivazione della lettera è ben circoscritta. La Congregazione
per la Dottrina della Fede era a quell'epoca competente per studiare le
richieste di dispensa dagli oneri sacerdotali assunti con l'ordinazione.
La relativa dispensa veniva concessa come gesto di grazia da parte della
Chiesa, dopo avere da un lato vagliato attentamente l'insieme di tutte
le circostanze concorrenti nel singolo caso e dall'altro soppesato l'oggettiva
gravità degli impegni assunti davanti a Dio e alla Chiesa al momento
dell'ordinazione sacerdotale. Le circostanze che motivavano alcune delle
richieste di dispensa da questi impegni, tuttavia, erano tutt'altro che
meritorie di atti di grazia. Il testo della lettera è eloquente:
«Eminenza, questo Dicastero, nell'esaminare le petizioni di dispensa dagli
oneri sacerdotali, incontra casi di sacerdoti che, durante l'esercizio
del loro ministero, si sono resi colpevoli di gravi e scandalosi comportamenti,
per i quali il cjc, previa apposita procedura, prevede l'irrogazione di
determinate pene, non esclusa la riduzione allo stato laicale.
Tali provvedimenti, a giudizio di questo Dicastero, dovrebbero, in taluni
casi, per il bene dei fedeli, precedere l'eventuale concessione della
dispensa sacerdotale, che, per natura sua, si configura come "grazia"
a favore dell'oratore. Ma attesa la complessità della procedura
prevista a tal proposito dal Codex, è prevedibile che alcuni Ordinari
incontrino non poche difficoltà nell'attuarla.
Sarei pertanto grato all'Eminenza Vostra Rev.ma se potesse far conoscere
il Suo apprezzato parere circa l'eventuale possibilità di prevedere,
in casi determinati, una procedura più rapida e semplificata»
La lettera rispecchia, innanzitutto, la naturale ripugnanza del sistema
di giustizia a concedere come atto di grazia (dispensa dagli oneri sacerdotali)
qualcosa che occorre, invece, imporre come castigo (dimissione ex poena
dal sacerdozio). Volendo evitare le complicazioni tecniche delle procedure
stabilite dal Codex per punire condotte delittuose, infatti, si faceva
talvolta ricorso alla volontaria richiesta del colpevole di abbandonare
il sacerdozio. In questo modo si arrivava allo stesso risultato "pratico"
di espellere il soggetto dal sacerdozio, se tale era la sanzione penale
prevista, aggirando al contempo "noiose" procedure giuridiche. Era un
modo "pastorale" di procedere, come si soleva dire, a margine di quanto
prevedesse il diritto. Agendo così, però, si rinunciava
alla giustizia e - come motivava il cardinale Ratzinger - si lasciava
ingiustamente da parte "il bene dei fedeli". Tale era il motivo centrale
della richiesta, nonché la ragione per cui occorreva dare priorità,
in questi casi, all'imposizione di giuste sanzioni penali per mezzo di
procedure più rapide e semplificate di quelle indicate nel Codex.
Bisogna tener conto che, sebbene il Codex (cfr. can. 1362 1, 1) riconoscesse
l'esistenza di una giurisdizione specifica della Congregazione per la
Dottrina della Fede in materia penale anche al di fuori dei casi di evidente
carattere dottrinale, non era affatto evidente nel contesto normativo
di allora quali altri reati concreti potessero rientrare nella competenza
penale del dicastero. Il canone 6 del Codex aveva peraltro abrogato espressamente
qualunque altra legge penale prima esistente.
La lettera del cardinale Ratzinger presuppone, perciò, che la responsabilità
giuridica in materia penale ricada sugli Ordinari o sui superiori religiosi,
come risulta dalla lettera del Codex.
La risposta
(10 marzo 1988)
Nel giro di tre settimane arrivò la risposta del cardinale Castillo
Lara, con lettera del 10 marzo 1988. La tempestività e il contenuto
del responso si capiscono se si tiene conto della particolarità
del momento legislativo: essendo appena terminato lo sforzo codificatore
che per decenni aveva occupato la Commissione, infatti, erano ancora in
fase di completamento tutti gli adeguamenti alla nuova disciplina delle
altre norme del diritto universale e particolare. La risposta certo condivideva
le motivazioni addotte e la bontà del criterio di anteporre le
sanzioni penali alla concessione di grazie; inevitabilmente, però,
confermava la necessità prioritaria di dare il dovuto seguito alle
norme del Codex appena promulgato:
«Capisco bene la preoccupazione di Vostra Eminenza per il fatto che gli
Ordinari interessati non abbiano esercitato prima la loro potestà
giudiziaria per punire adeguatamente, anche a tutela del bene comune dei
fedeli, tali delitti. Tuttavia il problema non sembra essere di procedura
giuridica ma di responsabile esercizio della funzione di governo.
Nel vigente Codice sono stati chiaramente determinati i delitti che possono
comportare la perdita dello stato clericale: essi sono configurati ai
cann. 1364 1, 1367, 1370, 1387, 1394 e 1395. Allo stesso tempo è
stata semplificata molto la procedura rispetto alle precedenti norme del
cic 1917, resa così più rapida e snella, anche allo scopo
di stimolare gli Ordinari all'esercizio della loro autorità, attraverso
il necessario giudizio dei colpevoli ad normam iuris e l'applicazione
delle previste sanzioni.
Cercare di semplificare ulteriormente la procedura giudiziaria per infliggere
o dichiarare sanzioni tanto gravi come la dimissione dallo stato clericale,
oppure cambiare l'attuale norma del 1342 2 che proibisce di procedere
in questi casi con decreto amministrativo extragiudiziale (cfr. can. 1720),
non sembra affatto conveniente. Infatti da una parte si metterebbe in
pericolo il diritto fondamentale di difesa - in cause poi che interessano
lo stato della persona -, mentre dall'altra parte si favorirebbe la deprecabile
tendenza - per mancanza forse della dovuta conoscenza o stima del diritto
- ad un equivoco governo cosiddetto "pastorale", che in fondo pastorale
non è, perché porta a trascurare il dovuto esercizio della
autorità con danno del bene comune dei fedeli.
Anche in altri periodi difficili della vita della Chiesa, di confusione
delle coscienze e di rilassamento della disciplina ecclesiastica, i sacri
Pastori non hanno mancato di esercitare, per tutelare il bene supremo
della salus animarum, la loro potestà giudiziaria».
La lettera fa, poi, un excursus sul dibattito che, nel corso dei lavori
di revisione del Codex, s'era sviluppato prima di decidere di non inserirvi
la cosiddetta dimissione ex officio dallo stato clericale. "Tutto ciò
considerato - concludeva la risposta - questa Pontificia Commissione è
dell'opinione che si debba insistere opportunamente presso i Vescovi (cfr.
can. 1389), perché, ogni volta che ciò si renda necessario,
non manchino di esercitare la loro potestà giudiziaria e coattiva,
invece di inoltrare alla Santa Sede le petizioni di dispensa".
Pur condividendo l'esigenza di fondo di tutelare il "bene comune dei fedeli",
infatti, la Commissione riteneva rischioso rinunciare ad alcune concrete
garanzie anziché esortare chi ne aveva le responsabilità
affinché attuasse le disposizioni del diritto. Lo scambio di lettere
si concluse con una cortese risposta, il 14 maggio successivo, del cardinale
Ratzinger:
«Mi pregio comunicarLe che è pervenuto a questo Dicastero il Suo
apprezzato voto circa la possibilità di prevedere una procedura
più rapida e semplificata dell'attuale per l'irrogazione di eventuali
sanzioni da parte dei competenti Ordinari, nei confronti di sacerdoti
che si sono resi colpevoli di gravi e scandalosi comportamenti. Al riguardo,
desidero assicurare l'Eminenza Vostra Rev.ma che quanto da Lei esposto
sarà tenuto in attenta considerazione da parte di questa Congregazione».
Competenze più estese
(28 giugno 1988)
La vicenda appariva chiusa, ma il problema non era risolto. Di fatto,
il primo importante segno di cambiamento della situazione si ebbe proprio
un mese dopo, il 28 giugno 1988, con la promulgazione della vigente costituzione
apostolica Pastor bonus, che ha modificato l'assetto complessivo della
Curia romana stabilito nel 1967 dalla Regimini Ecclesiae universae, riordinando
le competenze dei singoli dicasteri. L'articolo 52 stabilisce chiaramente
la giurisdizione penale esclusiva della Congregazione per la Dottrina
della Fede, non solo rispetto ai delitti contro la fede o nella celebrazione
dei Sacramenti, ma anche riguardo ai "delitti più gravi commessi
contro la morale", procedendo "a dichiarare o ad infliggere le sanzioni
canoniche a norma del diritto".
Questo testo, evidentemente indicato dalla Congregazione presieduta dal
cardinale Ratzinger sulla base della propria esperienza, risulta in diretta
relazione con quanto si sta qui esaminando, e rispetto alla situazione
precedente il cambiamento della costituzione apostolica Pastor bonus è
di evidente rilievo. In un quadro normativo presieduto dai criteri di
sussidiarietà e di "decentramento", dunque, la Pastor bonus realizzava
adesso un atto giuridico di "riserva" alla Santa Sede (cfr. can. 381 1)
di un'intera categoria di delitti, che il Pontefice affidava alla giurisdizione
esclusiva della Congregazione per la Dottrina della Fede. È assai
dubbio che una scelta del genere, la quale determinava meglio le competenze
della Congregazione e modificava il criterio del Codex su chi dovesse
applicare queste pene canoniche, sarebbe stata realizzata se il sistema
avesse complessivamente funzionato.
La suddetta norma, però, risultava ancora insufficiente sul piano
operativo. Elementari esigenze di sicurezza giuridica, infatti, imponevano
la necessità di identificare prima quali fossero in concreto quei
"delitti più gravi contro la morale" che la Pastor bonus affidava
alla Congregazione sottraendoli alla giurisdizione degli Ordinari.
Due rilevanti interventi successivi
Gli episodi illustrati riguardano un breve lasso di tempo: alcuni mesi
della prima metà del 1988. Negli anni successivi si è cercato
ancora di far fronte alle emergenze apparse nell'ambito penale nella Chiesa
seguendo i criteri generali del Codex del 1983, sostanzialmente riassunti
nella lettera del cardinale Castillo Lara. Si è avuto cura, infatti,
di incoraggiare l'intervento degli Ordinari locali, volendo talvolta agevolare
le procedure, oppure attraverso un diritto speciale, in dialogo con le
Conferenze episcopali.
L'esperienza che continuava a emergere, tuttavia, confermava l'insufficienza
di queste soluzioni, e la necessità di prenderne altre, di maggiore
respiro e su un altro livello. Due di esse hanno significativamente modificato
il quadro del diritto penale canonico sul quale ha dovuto lavorare in
questi ultimi mesi il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, ed
entrambe hanno l'attuale Pontefice come attore, in perfetta continuità
con le preoccupazioni espresse nella sua lettera del 1988.
La prima iniziativa, abbastanza nota, riguarda verso la fine degli anni
Novanta la preparazione delle Norme sui cosiddetti delicta graviora, che
hanno dato effettività all'articolo 52 della costituzione apostolica
Pastor bonus, indicando concretamente quali delitti contro la morale fossero
da ritenere "particolarmente gravi" e, quindi, di esclusiva giurisdizione
della Congregazione per la Dottrina della Fede. Queste Norme, promulgate
nel 2001, appaiono in controtendenza rispetto ai criteri previsti dal
Codex per l'applicazione delle sanzioni penali, cosicché in tanti
ambienti sono state subito bollate come accentratrici, mentre, in realtà,
rispondevano a un preciso dovere di supplenza: in primis per risolvere
un serio problema ecclesiale di operatività del sistema penale,
in secundis per assicurare un trattamento uniforme di queste cause in
tutta la Chiesa. A tale scopo la Congregazione ha dovuto preparare le
corrispondenti norme interne di procedura e poi riorganizzare il dicastero
per consentire questa attività giudicante in accordo con le regole
processuali del Codex.
Dopo il 2001, inoltre, sulla base dell'esperienza giuridica che affiorava,
il cardinale Ratzinger ha ottenuto da Giovanni Paolo II nuove facoltà
e dispense per gestire le varie situazioni, giungendo addirittura alla
definizione di nuove fattispecie penali. Questi adeguamenti successivi
sono ora nelle Norme sui delicta graviora pubblicate dalla Congregazione
nello scorso luglio.
Vi è stata però una seconda iniziativa del cardinale Ratzinger
che ha contribuito a modificare il panorama dell'applicazione del diritto
penale nella Chiesa. Si tratta del suo intervento come membro della Congregazione
per l'Evangelizzazione dei Popoli nella preparazione delle facoltà
speciali concesse a questo dicastero per far fronte, in via anche di supplenza,
ad altro genere di problemi disciplinari nei luoghi di missione. Non è
difficile capire, infatti, come, a causa della scarsità di mezzi
di ogni tipo, gli ostacoli per attuare il sistema penale del Codex si
facessero sentire soprattutto nelle circoscrizioni di missione dipendenti
dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, che rappresentano
quasi la metà del mondo cattolico.
Perciò, nell'adunanza plenaria del febbraio 1997, la Congregazione
ha deciso di sollecitare dal Papa facoltà speciali che le permettessero
di potere intervenire per via amministrativa, in determinate situazioni
penali, al margine delle disposizioni generali del Codex; di quella plenaria
era relatore il cardinale Ratzinger. Come si sa, queste facoltà
sono state aggiornate e ampliate nel 2008, e altre di natura analoga sono
state poi concesse alla Congregazione per il Clero.
L'esperienza dirà in quale misura le modifiche che s'intende adesso
apportare al libro vi riusciranno a riequilibrare la situazione, rendendo
non più necessarie le misure speciali. In ogni caso, determinante
in questo processo più che ventennale di rinnovamento della disciplina
penale è stato il ruolo della decisa azione del cardinale Ratzinger,
fino a rappresentare una delle costanti che sin dall'inizio hanno caratterizzato
i suoi anni romani.
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