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Dove Finisce L'Otto Per Mille Segreto DA Un Miliardo Di Euro By Curzio Maltese Radicali October 3, 2007 http://www.radicali.it/view.php?id=105724 (For English-speaking readers: Under Italian law, eight percent of each 1,000 euros of taxable income goes to religious organizations. The Catholic Church is a major recipient of this Italian tax money.) Where the secret of eight per thousand for a billion euros ends up. The Catholic Church each spring presents a well-prepared campaign using newspaper, TV, radio, films and accompanied by the best music, best stories, even unforgettable stories, to explain how people benefit from the tax money the church gets from Italian taxpayers. These ads are masterfully done. In 2005, the campaign cost nine million euros and it was the work of Saatchi & Saatchi, a multinational company. The cost of the ad campaign was triple the three million euros donated to victims of the tsunami in southern Asia. However, the ad regarding the tsunami is memorable. It opened showing a fragile village of huts, and from the beach barefoot men watch a dark horizon. The voice over said the day the tsunami arrived, all was destroyed. The logo of the "eight per thousand" flashes onto the screen. The narrator follows by saying that the area was transformed because of the money from the church. The camera zooms in on the boats and nets. Viewers are told that the "eight per thousand" has helped the people affected by the tsunami. The Jewish communities, which are smaller, gave 200,000 euros which was six percent of their eight per thousand and by percentage was 20 times more than what the Catholic Church gave. People in Italy believe the money deriving from the "eight per thousand" is given to charities in Italy and abroad because this is what the church presents as a message in the ads. In reality, the church's newspaper L'Avvenire confirmed on Sept. 29 only 20 percent of the money the church received went to charity. In Italy, both state and church do not have the courage to discuss the mechanism at the base of the calculation that allows for the "eight per thousand." In Spain, money that is not expressly assigned to the church goes to the state. In Europe, the money is given voluntarily by the donors who also can decide not to have their tax money go to churches. The lengthy article also includes another quote from Pope Benedict XVI before he became pope. He said that unfortunately history teaches that the church has never a renounced spontaneously the money and privileges unduly given to it and the institution must thank those who eliminated privileges because it helped the church to behave in a better way. The Italian state now, especially when Berlusconi was prime minister, is allowing the church to have all sorts of privileges. There are opinions on this issue by both critics and defenders of the Vatican. The Italian state in the 17 years since the "eight per thousand" became law has not discussed publicly the mechanism for determining the amounts that go to religious group or the real destination of the money. Other religious groups publicize how money of their money goes for publicity but the Catholic church is the only one to remain silent on how much money it spends on advertising. The sole voice to break state silence happened in 1996 when Livia Turco, a Catholic who was then Solidarity minister, proposed assigning some of the "eight per thousand" money for poor infants. Monsignor Attilio Nicora, a papal cashier, quickly answered that the state should not be in competition with the church. Turco said in her naivite she thought her proposal would meet widespread favorr, especially from the church, since Italy had the highest rate of infantile poverty in Europe. On the contrary, the church reaction was the harshest. Turco said she remembers the episode with bitterness. Le campagne dell'«otto per mille» della Chiesa cattolica, che ogni primavera invadono l'etere, Rai, Mediaset e radio nazionali, sono considerate nel mondo pubblicitario un modello di comunicazione. Ben girate, splendida fotografia, musiche di Morricone, storie efficaci, a volte indimenticabili. Chi non ricorda quella del 2005, imperniata sulla tragedia dello tsunami? Lo spot apre su un fragile villaggio di capanne, dalla spiaggia i pescatori scalzi scrutano l'orizzonte cupo. Voce fuori campo: «Quel giorno dal mare è arrivata la fine, l'onda ha trasformato tutto in nulla». Stacco sul logo dell'otto per mille: «Poi dal niente, siete arrivati voi. Le vostre firme si sono trasformate in barche e reti». Zoom su barche e reti. «Barche e reti capaci di crescere figli e pescare sorrisi». Slogan: «Con l'otto per mille alla Chiesa cattolica, avete fatto tanto per molti». Un capolavoro. La campagna 2005, affidata come le precedenti alla multinazionale Saatchi & Saatchi, secondo Il Sole24 Ore è costata alla Chiesa no -ve milioni di euro. Il triplo di quanto la Chiesa ha poi donato alle vittime dello tsunami, tre milioni (fonte Cei), lo 0,3 per cento della raccolta. Nello stesso anno, l'Ucei, l'unione delle comunità ebraiche italiane, versò per lo Sri Lanka e l'Indonesia 200 mila euro, il 6 per cento dell'«otto per mille». Un'offerta in proporzione venti volte superiore, in un'area dove non esistono comunità ebraiche. Gli spot della Chiesa cattolica sono per la maggioranza degli italiani l'unica fonte d'informazione sull'otto per mille. Consegue una serie di pregiudizi assai diffusi. Credenti e non credenti sono convinti che la Chiesa cattolica usi i fondi dell'otto per mille soprattutto per la carità in Italia e nel terzo mondo. Le due voci occupano la totalità dei messaggi, ma costituiscono nella realtà il 20 per cento della spesa reale, come conferma Avvenire, che pubblica per la prima volta il resoconto sul numero del29settembre.L'80percentodel miliardo di euro rimane alla Chiesa cattolica. Tanto meno gli spot cattolici si occupano d'informare che le quote non espresse nella dichiarazione dei redditi, il 60 per cento, vengono comunque assegnate sulla base del 40 per cento di quanto è stato espresso e finiscono dunque al 90 per cento nelle casse della Cei. Questo compito in effetti spetterebbe allo Stato italiano. Lo Stato avrebbe dovuto illustrare e giustificare ai cittadini un meccanismo tanto singolare di «voto fiscale», unico fra i paesi concordatari. In Spagna per esempio le quote non espresse nel «cinque per mille» restano allo Stato. In Germania lo Stato si limita a organizzare la raccolta dei cittadini che possono scegliere di versare l'8 o 9 per cento del reddito alla Chiesa cattolicao luterana o ad altri culti. Il principio dell'assoluta volontarietà è la regola nel resto d'Europa. Lo Stato italiano lo adotta infatti per il «cinque per mille». Anzi, fa di peggio. Il «cinque per mille» è nato nel 2006 per destinare appunto lo 0,5 dell'Irpef (660 milioni di euro, stima ufficiale delle Entrate) a ricerca e volontariato. Nel primo (e unico) anno hanno aderito il 61 per cento dei contribuenti, contro il 40 dell' «otto per mille»: un successo enorme. Le sole quote volontarie ammontano a oltre 400 milioni. Ma con la Finanziaria del 2007 il governo ha deciso di porre un tetto di 250 milioni al fondo, che si chiama sempre «cinque per mille» ma è ridotto nei fatti a meno del due.Le quote eccedenti verranno prelevate dall'erario. Con una mano lo Stato dunque regala 600 milioni di quote non espresse alla Cei e con l'altra sottrae 150 milioni di quote espresse a favore di onlus e ricerca. Nella stessa pagina del modulo730 il «voto fiscale» espresso da un cittadino in alto a favore delle chiese vale in termini economici quattro volte il voto nel «cinque per mille». Perché due pesi e due misure? Lo Stato in diciassette anni non ha speso una parola pubblica, uno spot, una pubblicità Progresso, per spiegare il senso, il meccanismo e la destinazione reale dell'otto per mille. Ed è l'unico «concorrente» che ne avrebbe i mezzi, oltre al dovere morale. Gli altri (Valdesi, Ebrei, Luterani, Avventisti, Assemblee di Dio) dispongono di fondi minimi per la pubblicità, peraltro regolarmente denunciati nei resoconti. Mentre la Chiesa cattolica è l'unica a non dichiarare le spese pubblicitarie, riprova di scarsa trasparenza. L'unica voce a rompere il silenzio dello Stato fu nel 1996 quella di una cattolica, come spesso accade, la diessina LiviaTurco, allora ministro per la Solidarietà. Turco propose di destinare la quota statale di otto per mille a progetti per l'infanzia povera. Il «cassiere» pontificio, monsignor Attilio Nicora, rispose che «lo Stato non doveva fare concorrenza scorretta alla Chiesa». Fine del dibattito. Oggi Livia Turco ricorda: «Nella mia ingenuità, pensavo che la mia proposta incontrasse il favore di tutti, compresa la Chiesa. L'Italia è il paese continentale con la più alta percentuale di povertà infantile. Al contrario la reazione della Chiesa fu durissima, infastidita, e dalla politica fui subito isolata. Ho vissuto quella vicenda con grande amarezza». La politica non ha mai più osato fare «concorrenza» alla Chiesa cattolica, anzi l'ha favorita con un pessimo uso del fondo. Nel 2004 i media hanno dato grande risalto alla trovata del governo Berlusconi di utilizzare 80 dei 100 milioni ricevuti dall'otto per mille per finanziare le missioni militari, in particolare in Iraq. Degli altri venti milioni, quasi la metà (44,5 per cento) sono finiti nel restauro di edifici di culto, quindi ancora alla Chiesa. La percentuale di «voti» allo Stato italiano è crollata dal 23 per cento del 1990 all'8,3 del 2006. All'atteggiamento remissivo dello Stato italiano ha fatto da contraltare una crescente aggressività da parte delle gerarchie ecclesiastiche e soprattutto dei politici al seguito, cattolici e neo convertiti, nel rivendicare il denaro pubblico. In agosto, quando la commissione europea ha chiesto lumi al governo Prodi sui privilegi fiscali del Vaticano, nell'ipotesi si tratti di «aiuti di Stato» mascherati, l'ex ministro Roberto Calderoli, già protagonista delle battaglie anticlericali della Lega anni Novanta,ha chiesto al Papa di «scomunicare l'Unione Europea». Rocco Buttiglione ha avanzato un argomento in disuso fra gli intellettuali dai primi del '900, ma oggi di gran moda. Secondo il quale i privilegi concessi dalla Stato al Vaticano sarebbero «una compensazione per la confisca dei beni ecclesiastici dello Stato Pontificio». Un revanscismo già sepolto dalla Chiesa del Concilio. Nel 1970 Paolo VI aveva «festeggiato» con la visita in Campidoglio la breccia di Porta Pia: «atto della Provvidenza», una «liberazione» per la Chiesa da un potere temporale che ne ostacolava l'autentica missione. Joseph Ratzinger scrive ne «Il sale della terra»: «Purtroppo nella storia è sempre capitato che la Chiesa non sia stata capace di allontanarsi da sola dai beni materiali, ma che questi le siano stati tolti da altri; e ciò, alla fine, è stata per lei la salvezza». La legge 222 del 1985 istitutiva dell'otto per mille, perlopiù sconosciuta ai polemisti, in ogni caso non accenna ad alcuna forma di «risarcimento» per le confische (argomento insensato nell'Italia di vent'anni fa). Lo scopo primario della legge di revisione del Concordato fascista del '29 era di garantire un sostituto della «congrua», ovvero lo stipendio di Stato ai sacerdoti. Nei primi anni lo Stato s'impegnava infatti a integrare l'otto per mille, fino a 407 miliardi, nel caso di una raccolta insufficiente per pagare gli stipendi. In cambio il Vaticano accettava che una commissione bilaterale valutasse ogni tre anni l'ipotesi di ridurre l'otto per mille nel caso contrario di un gettito eccessivo. Ora, dal 1990 al 2007, l'incasso per la Cei è quintuplicato e la spesa per gli stipendi dei preti, complice la crisi di vocazioni, è scesa alla metà, dal 70 al 35 per cento. Eppure la commissione italo-vaticana non ha mai deciso un adeguamento. Perché? Senza avventurarsi in filosofia del diritto, si può forse raccontare il percorso di uno dei componenti laici della commissione, Carlo Cardia. Il professor Cardia, insigne giurista di formazione comunista, consigliere di Enrico Berlinguer e Pietro Ingrao, ha esordito da fiero «difensore del diritto negato in Italia all'ateismo» («Ateismo e libertà religiose», De Donato, 1973). Nel 2001 è Cardia a invocare una riduzione dell'otto per mille, in un saggio pubblicato dalla presidenza del consiglio: «Dall'otto per mille derivano ormai alla Chiesa cattolica, meglio: alla Cei, delle somme veramente ingenti, che hanno superato ogni previsione. Si parla ormai di 900-1000 miliardi l'annodi lire. Il livello è tanto più alto in quanto il fabbisogno per il sostentamento del clero non supera i 400-500 miliardi. Ciò vuoi dire che la Cei ha la disponibilità annua di diverse centinaia per finalità chiaramente "secondarie" rispetto a quella primaria del sostentamento del clero; e che lievitando così il livello del flusso finanziario si potrebbe presto raggiungere il paradosso per il quale è proprio il sostentamento del clero ad assumere il ruolo di finalità secondaria». Previsione perfetta. «Tutto ciò —concludeva Cardia—porterebbe a vere e proprie distorsioni nell'uso del danaro da parte della Chiesa cattolica; e, più in generale, riaprirebbe il capitolo di un finanziamento pubblico irragionevole che potrebbe raggiungere la soglia dell'incostituzionalità se riferito al valore della laicità quale principio supremo dell'ordinamento». Nel tempo il professor Cardia è diventato illustre collaboratore di Avvenire, il giornale dei vescovi. I suoi temi sono cambiati: l'apologia del rapporto fra i giovani e Benedetto XVI, la lotta ai Dico, l'esaltazione del Family Day. Ciascuno naturalmente ha il diritto di cambiare idea. Ma è opportuno che, avendole cambiate sul giornale della Cei, continui a far parte di unas commissione governativa chiamata a stabilire quanti soldi lo Stato deve versare alla Cei? Nell'ultimo editoriale su Avvenire il professor Cardia tuona contro l'inchiesta di Repubblica, «una delle più colossali operazioni di disinformazione degli ultimi tempi». Senza contestare nel merito un singolo dato, nega con veemenza che la Chiesa costi troppo agli italiani e s'indigna per «l'indecente» accostamento con la «casta». E' lo stesso professor Cardia che il 20 febbraio scorso dichiara in un'intervista: «Io porterei la quota dell'otto per mille al sette, vista l'imponente massa di danaro che smuove. Basti pensare che dall'84 a oggi nessuno, se non per controversie politiche,vi ha posto mano». Con le altre confessioni lo Stato è assai meno generoso. In risposta a un'interrogazione dei soliti radicali, nel luglio scorso il ministro Vannino Chiti ha citato come prova della bontà del meccanismo «il fatto che anche i valdesi hanno chiesto e ottenuto le quote non espresse». Chiesto sì, ottenuto mai. Incontro la «moderatrice» della Tavola Valdese, Maria Bonafede, il «Ruini» dei valdesi, nella modesta sede vicino alla Stazione Termini. «Per motivi etici avevamo rinunciato alle quote non espresse, ma nel 2000, visto l'uso che ne faceva lo Stato, le abbiamo chiese. Abbiamo incontrato governi di destra e di sinistra, il vecchio Letta e il nuovo. Ogni volta ci rinviano. Se la ottenessimo oggi, la vedremmo solo nel 2010. Lo Stato anticipa i soldi alla Cei, ma agli altri li versa con tre anni di ritardo». Ai valdesi sono andati nel 2006 circa 5 milioni 700 mila euro, ma avrebbero diritto a oltre 13 milioni. Il resto lo trattiene lo Stato. La Tavola Valdese usa i soldi dell'otto per mille al 94 per cento per la carità e il rimanente alla pubblicità. I pastori valdesi vivono delle donazioni spontanee. Lo stipendio base, uguale dalla «moderatrice» all'ultimo pastore, è di 650 euro al mese. Maria Bonafede spiega: «I soldi dell'otto per mille arrivano dalla società e vi debbono tornare. Se una Chiesa non riesce a mantenersi con le libere offerte, è segno che Dio non vuole farla sopravvivere». |
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